F-Psicoarchitettura appunti

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Le benzodiazepine causano demenza.

Uno studio francese pubblicato su British Medical Journal afferma che l’uso regolare di benzodiazepine (la prima benzodiazepina fu scoperta nel 1955) favorisce notevolmente il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.

La correlazione è stata evidenziata dall’INSERM, l’istituto nazionale francese della salute e della ricerca medica, condotto presso l’Université de Bordeaux dove è è stato dimostrato che le benzodiazepine aumentino significativamente il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer: malattia neurodegenerativa, che nei paesi occidentali colpisce moltissimi anziani con un’indidenza crescente negli ultimi 40 anni.

Sophie Billioti Gagee, è la ricercatrice che ha redatto l’articolo scientifico.

Lo studio ha preso in considerazione quasi 9.000 persone di età superiore a 66 anni, seguiti per 6-10 anni, dimostrando come l’assunzione giornaliera di psicofarmaci per diversi mesi aumenti il rischio di sviluppare una malattia neurodegenerativa :

  • una volta al giorno per 3 – 6 mesi aumenta il rischio di malattia di Alzheimer del 30%
  • una volta al giorno per più di sei mesi aumenta il rischio di Alzheimer del 60-80%.

E’ utile ricordare che i neuroni che popolano il snc utilizzano due principali neurotrasmettitori l’amino L glutammato che è il principale neurotrasmettitore neuro eccitatorio e il gaba il principale neurotrasmettitore inibitorio, le benzodiazepine agiscono potenziando l’effetto dell’acido γ amminobutirrico (GABA) , ovvero potenziano l’effetto inibitorio.

Inoltre il nostro cervello crea ed estingue in continuazioni collegamenti nervosi (prevalentemente dendriti) questo fenomeno è chiamato plasticità neuronale.

I collegamenti inutilizzati vanno più facilmente incontro a retrazione scollegandosi dalla connessione, pertanto appare logicamente conseguente che una inibizione sinaptica prolungata in modo artificiale possa condurre a perdita di connessioni e atrofia cerebrale, ciononostante la prima argomentazione che sarebbe emersa di tipo giustificatorio è che l’ansia sarebbe potuta essere un primo segno della malattia a cui andrebbero attribuite esclusivamente cause genetiche.

Fonte: British Medical Journal,(The BMJ) BMA House, Tavistock Square, London WC1H 9JP, UK

http://www.bmj.com/content/349/bmj.g5205

Le benzodiazepine (BDZ) , classe di psicofarmaci costituita essenzialmente dagli ansiolitici e dagli ipnoinducenti, comunemente noti come sonniferi, sono, a ragione o a sproposito, tra i farmaci più usati al mondo: a titolo esemplificativo in Francia il 30% della popolazione sopra i 65 anni fa uso di benzodiazepine. La percentuale è intorno al 20% in Canada e Spagna. Negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna le percentuali sono più basse, ma restano comunque elevate. In Italia un rapporto del 2013 rileva che su mille abitanti ogni giorno 54 assumono dosi standard di BDZ, intendendo per dose standard il dosaggio corretto.
La prevalenza della malattia di Alzheimer, che rappresenta il 50% circa di tutte le demenze, è, nella popolazione ultrasessantacinquenne del 4.4% circa nei paesi industrializzati, con valori che vanno dallo 0,7% nella fascia 65-69 anni al 20% degli ultranovantenni.

http://www.prontointerventopanico.it/benzodiazepine-e-alzheimerconnessioni/

ma c’è anche chi ipotizza che l’ansia e l’insonnia possano rappresentare i primi sintomi tipici dell’insorgenza del morbo d’Alzheimer.

http://salute.ilgiornale.it/news/20219/abuso-benzodiazepine-aumenta-rischio-alzheimer/1.html

La soggettività prevale sulla chimica del cervello? Ebbene si: il crollo di un mito.

A 5 anni dall’uscita del decennale lavoro scientifico di Irving Kirsch divulgato con il titolo “The Emperor’s New Drugs” (e in Italia con un titolo più morbido: I farmaci antidepressivi il crollo di un mito)si moltiplicano i dati scientifici a che confermano la sua ipotesi.

Di cosa si tratta? Irving Kirsch è un docente dell’Harvard Medical School negli U.S. e dell’Università di Plymouth del U.K., ha pubblicato numerosi articoli scientifici sull’effetto placebo della terapia con antidepressivi.

Ma come può essere accaduto che venissero commercializzati psicofarmaci i cui effetti dichiarati sono dubbi?

Si tratta di produzioni farmacologiche statunitensi, dove per lo più l’onere della prova scientifica è finanziato dal produttore stesso e non da un organo esterno imparziale.

Infatti Kirsch fece notare che il 75% degli studi finanziati dall’industria farmaceutica mostrava risultati favorevoli per i propri prodotti (pag 50 dell’edizione italiana).

Ma non solo Kirsch mette in dubbio la fantasiosa ipotesi dello squilibrio chimico del cervello come causa del malessere psicologico, e ne dimostra l’inattendibilità scientifica, anche molte evidenze scientifiche recenti, ci fanno capire quanto distante sia l’attuale modello medico interpretativo del sistema neuro cerebrale, dalla realtà.

Per fare un esempio è ormai consolidato che: “i segnali responsabili dell’informazione visiva sono del tutto identici a quelli che danno informazioni per esempio sugli stimoli olfattivi, ed ecco che qui incontriamo un principio chiave della funzione cerebrale: l’informazione trasportata da un potenziale d’azione non dipende dalla morfologia del segnale ma dalle vie che quel segnale percorre nel cervello” (Kandel), è poi compito del cervello stesso analizzare e decifrare il tipo di: “segnali chimici” che arrivano e le vie che essi percorrono e di trasformarli in una delle nostre sensazioni quotidiane visive tattili olfattive o acustiche.

Questo è stato dimostrato perché è possibile tecnicamente registrare gli stimoli fisici ambientali e come vengono interpretati dal cervello, figuriamoci per quanto riguardano i pensieri che “non possono essere né visti né registrati obiettivamente”!

In altre parole immaginando il cervello come se fosse una rete stradale , il colore giallo diventa in me “cosciente” perché prevale il meccanismo:

– un auto parte dalla statale x di Roma e arriva a Napoli seguendo solo quella statale x.

E non perché il tipo di auto permette solo quel tragitto, se la stessa auto facesse un altro tragitto sentirei odore di bruciato.

articolo censurato sul sito www.(medicitalia.it)

http://www.studiopsicologiamantova.it/Censura%20Carla%20Foletto%20sul%20sito%20medicitalia.it/sitoMediciItaliaCarlaFolettoVicende.htm

Pensiero simmetrico e pensiero asimmetrico (esiste la dislessia?)

Pensiero simmetrico e pensiero asimmetrico
28.10.2014
Dr.ssa Carla Foletto

Potremmo pensare che le persone si dividano (cognitivamente) in due macroinsiemi: le persone con uno stile cognitivo prevalentemente basato sulla simmetria e quindi circolare (e spaziale) e le persone con uno stile cognitivo prevalentemente asimmetrico quindi direzionale (o procedurale /temporale).
Possiamo ipotizzare che la probabilita’ di avere uno o l’altra modalita’ prevalente sia del 50%.

mente-umana

La predisposizione al pensiero simmetrico o asimmetrico non e’ determinante e attraverso l’apprendimento puo’ modificarsi in uno o l’altro senso. La scrittura (trasformazione del fonema in grafema) e i sistemi di calcolo numerico, hanno un origine asimmetrica, ovvero le persona che hanno inventato la scrittura e il calcolo (ideogrammi cinesi esclusi) avevano uno stile cognitivo asimmetrico.

Con l’obbligo scolastico tutte le persone che hanno uno stile cognitivo simmetrico hanno dovuto apprendere la modalita’ asimmetrica, ricodificando il proprio stile cognitivo per adattarlo al pensiero asimmetrico, normalmente si riconoscono queste persone perche’ hanno tempi un po’ piu’ lunghi nel processare le informazioni procedurali (asimmetriche) e tempi piu’ brevi nel trovare soluzioni alternative.

La cultura occidentale essendo basata su un sistema asimmetrico, praticamente ignora l’altra modalita’ conoscitiva, quella simmetrica, privandosi cosi’ di una modalita’ interpretativa che spiegherebba l’altra parte dei fenomeni e squalifica la modalita’ simmetrica ritenendola una patologia.

Le persone con una modalita’ marcatamente simmetrica vengono considerate per esempio dislessiche e sembra che da punto di vista statistico le diagnosi di dislessia stiano aumentando. Con molta probabilita’ piu’ le valutazioni si fanno approfondite maggiore e’ il numero di cosidetti dislessici tanto che potremmo arrivare al 50% ovvero la probabilita’ di avere un pensiero simmetrico o asimmetrico.

Quindi cosa stiamo valutando? la conformita’ a un modello culturale di tipo asimmetrico o un disturbo dell’apprendimento?
Per esempio la codificazione della lingua parlata e asimmetrica e la codificazione della musica e’ simmetrica perche’ i puntini sono collocati su uno spazio il pentagramma mentre le parole su una riga, il fonema b e p si differenziano per una collocaziozie labiale differente la nota do e mi per una vibrazione sonora differente.

Se la musica ha sia la codifica asimmetrica che attribuisce un nome alla nota (do re mi…..) che simmetrica ( pentagramma) il linguaggio ha solo la codifica asimmetrica e ignora quella simmetrica; la realta’ fenomenica (fisica, chimica….) potrebbe essere meglio compresa con la modalita’ di pensiero simmetrica, mentre la realta’ creata dall’uomo si presta meglio con una modalita’ asimmetrica (es romanzi, poesie) perche’ cosi’ facendo si distingue meglio dalla realta’ fenomenica.

Concludendo questa breve e schematica esposizione, se la cultura accademica fosse piu’ aperta al pensiero simmetrico di certo ne gioverebbero sia le persone con pensiero asimmetrico che dovrebbero sforzarsi per comprendere l’altra modalita’ sia le persone con pensiero simmetrico che si sentirebbero meno incapaci e in alcuni casi meno patologiche o disturbate nell’apprendimento.

Reazioni e tratti così detti paranoidei: ipotesi teorica

lupiPreda

Le reazioni paranoidee sono di semplice comprensione, per esempio nei reduci di guerre che devono uccidere senza che vi sia una ragione diretta fra se stessi e il nemico, che giustifichi il loro comportamento mentre nello stesso tempo essi stessi sono oggetto della stessa cosa. Ma il tratto paranoideo da cosa potrebbe essere causato se non vi sono esperienze paranoicizzanti nella vita del soggetto?

Questo tipo di problema psichico è molto più raro, la maggior parte delle volte abbiamo reazioni a esperienze paranoicizzanti e sono piuttosto frequenti, negli ambiti umani d’interesse economico, la dove l’esproprio occulto nei confronti del soggetto (vittima) lo porta a sperimentare problemi di paura per la propria sopravvivenza a causa della mancanza di mezzi di sussistenza (automatismo dell’emozione della paura).

Nei rari casi in cui l’atteggiamento del soggetto è più un tratto distintivo del suo temperamento, piuttosto che una reazione, potremmo avere la causa principale a livello genotipico ovvero un “memorizzazione” che risale a esperienze precedenti nel mondo animale, e potrebbe essere stato codificato un allert genetico per quanto riguarda  i cosidetti predatori opportunistici. (per es un lupo uccide una preda e un branco di sciacalli la ruba, e/o un lupo  uccide una preda e i lupi del suo branco la rubano, questo si ripete sempre lasciandolo affamato sempre di più fino a morire di fame)

In altre parole potremmo affermare che: fra le varie modalità d’interferenza, dell’emozione della paura sull’attività psichica del soggetto, che possono produrre risposte inadeguate nel suo comportamento, nel “tratto paranoide” è presente un’attivazione riconducibile a modalità “istintuali- automatiche” normalmente mediate dall’amigdala e a una qualche esperienza o codifica genetica (memoria arcaica) di una qualche esperienza di antenati (animali) che può avere attinenza con l’essere stata vittima di un “comportamento predatorio” che ha messo in difficoltà la sopravvivenza specie-specifica.

Per semplificare: le reazioni sono quelle del predatore che difende la propria preda da predatori opportunistici, all’interno di un “branco” che percepisce come inaffidabile, un branco di simili che diventano essi stessi predatori verso chi ha cacciato la preda, questo accade per esempio nei deserti in branchi di canidi, dove le risorse alimentari sono scarse.

In tal caso l’esperienza potrebbe codificarsi “geneticamente” come memoria e attivarsi in  comportamenti automatici sulla base di stimoli ambientali non situazionali, la più conosciuta fobie  è per es la paura dei serpenti (con il veleno possono condurre vicino alla morte, ‘se uno morisse non riuscirebbe a trasferire geneticamente- questa esperienza che resta codificata in modo forte nelle future generazioni), questo tipo di paura “accende” l’amigdala la quale si connette con il tronco encefalico (comportamento di difesa attacco cortico-adrenalinicamente mediato) , quindi non è molto facile mediare queste reazioni a livello encefalico-corticale, per questo spesso notiamo nei cosi detti tratti paranoidi: consapevolezza ma anche senso d’impotenza verso i proprio sentire e ambiguità verso il gruppo di appartenenza cioè nemmeno il proprio gruppo è “sentito” come affidabile anche se la persona comprende che questo non ha molto senso.

Concludendo la cosidetta paranoia è molto più probabilmente un disturbo della sfera emotiva e non della sfera cognitiva e vanno distinti almeno due tipi uno di tipo reattivo e uno di tipo costitutivo.

Identità energetica

Condivido delle riflessioni sulla mia ipotesi che, l’energia, normalmente concepita dai fisici come: qualcosa di costitutivo solo della materia, abbia invece una caratteristica identitaria: quel pacchetto energetico è specifico solo di quell’individuo e non di altri, questo avverrebbe tramite una caratteristica vibrazionale dell’unità energetica esclusiva di quell’individuo e non di altri. 

(vedi post precedenti e link a cui si riferiscono)

In sintesi ogni individuo (animale e vegetale) è costituito da unità energetica che si trovano in universi dimensionali differenti (per esempio materiale, psichico concettuale, psichico affettivo, psichico emotivo …); al momento di quello che chiamiamo “morte” gradualmente le unità energetiche migrano dall’universo dimensionale materiale agli altri universi dimensionali, senza perdere la loro caratteristica identitaria dovuta alla “qualità vibrazionale” unica per quel soggetto (umano, animale o vegetale) e si organizzano diversamente forse anche con una possibile “reincarnazione” (ipotesi sostenuta dalle religioni orientali) ma non necessariamente.

Al momento della cosidetta morte, tramite i nostri sensi percepiamo un graduale cambio di stato del soggetto morto. Ciò che appare a noi come corpo via via cessa ogni “movimento” e si avvia verso uno stato in cui il corpo continua il movimento all’interno del cosmo (rotazione terrestre …) ma piano piano sempre più  a livello microscopico, cessa ogni movimento proprio, nella dimensione materiale. 

Ora concentriamoci sul concetto di “movimento”, noi sappiamo, senza ombra di dubbio, che ogni cosa è in movimento, sia dal punto di vista cosmico (la terra gira intorno a se stessa, al sole …… ecc) che da punto di vista atomico (l’elettrone … ecc).

Ma noi abbiamo una percezione statica della realtà che ci circonda. Quindi noi non abbiamo una percezione sensoriale vera della realtà che ci circonda la nostra è una trasformazione cognitiva che ci permette di sentirci “in azione” sia essa spontanea (respiro, cuore …) o volontaria (camminare, ruotare gli occhi …).

Quindi lo spazio e il tempo sono un “filtro” creato dalla nostra mente che giustificano i fenomeni prodotti dal movimento. In realtà tempo e spazio non esistono essi sono costruzioni della nostra mente, esiste solo il “movimento” e l’accelerazione o meno delle unità energetiche, dentro a un movimento, che danno luogo a “accelerazione”= “aumento dell’intensità energetica” o “decelerazione”= “diminuizione dell’intensità energetica”, delle unità energetiche di cui una parte ha caratteristica “identitaria” (sono parti di un soggetto) e una parte no (sono neutre)

Chiaramente questo è solo un modello teorico che non ha la pretesa di essere scientifico (empiricamente dimostrabile) è un approccio alternativo al “modello antropocentrico” che impera nella odierna conoscenza, antropocentrismo che potrebbe dare spiegazioni vere in parte e in parte del tutto fuorvianti.

 

Variazioni dello stile cognitivo con l’età

 

ImmagineLo stile cognitivo varia durante l’esistenza di una persona, nella giovinezza prevale l’abilità nell’apprendimento in termini quantitativi e alta è anche la velocità, nell’età adulta prevale la capacità elaborativa e nell’età avanzata prevale la capacità di selezionare informazioni importanti da quelle inutili.

Secondo questo schema il lavoro cognitivo ha natura sempre più soggettiva, dipende nella giovinezza dalla motivazione, nell’età adulta dalla problematicità, nell’età avanzata dall’esperienza.

Se la natura dell’ideazione, è soggettiva, anche se l’età caratterizza un certo stile cognitivo, non può essere oggettivata dai test.

 

        

Dimensione parallela da Wikipedia

http://it.wikipedia.org/wiki/Dimensione_parallela
Una dimensione parallela o universo parallelo (anche realtà parallela, universo alternativo, dimensione alternativa o realtà alternativa)[1] è un ipotetico universo separato e distinto dal nostro ma coesistente con esso; nella maggioranza dei casi immaginati è identificabile con un altro continuum spazio-temporale. L’insieme di tutti gli eventuali universi paralleli è detto multiverso. Il concetto di “altri universi” non è estraneo alla letteratura scientifica: esistono alcune teorie cosmologiche e fisiche che ammettono la loro esistenza, la più famosa delle quali è la teoria delle stringhe. In campo filosofico, un indagatore del tema delle dimensioni parallele fu Auguste Blanqui, che nel 1872 indagò gli aspetti teorici e filosofici di un universo a infinite dimensioni nell’opera L’Eternité par les astres. Opera anomala nella produzione di Blanqui, essa anticipa elementi che si ritrovano anche in Jorge Luis Borges.
Va precisato che il lemma “dimensione” (con l’accezione di regione o luogo spaziale occupabile e/o percorribile), sebbene nel gergo colloquiale e narrativo può genericamente riferirsi ad un’ulteriore realtà nascosta o oscura ma simile o sovrapponibile alla struttura del nostro mondo, in contesto prettamente scientifico va distinto dagli altri termini (suesposti) in quanto designa una o più quantità e qualità metriche intrinseche al luogo misurato (inerenti a qualche specifica topologia): ad esempio con le caratteristiche di “quarta dimensione” è definibile una configurazione (come l’ipersfera) che manifesta proprietà e relazioni spaziali differenti da quelle tridimensionali a noi presenti e direttamente visibili, che non si riesce neppure a raffigurarla mentalmente a meno di ricorrere ad un modello geometrico con disegno (o diagramma) composito e solo indicativo. Così in tal contesto, asserire l’esistenza d’altra aggiuntiva dimensione parallela, oltre le tre normalmente osservate nel nostro universo (euclideo), implica dichiarare la presenza di misure/elementi/forme (associabili a dei numeri) ch’affiancano e/o completano l’estensione (superficiale e volumetrica) consuetamente sperimentata, ma al di fuori della gamma compresa e percepita empiricamente dall’apparato sensoreo naturale: quindi la complessiva rappresentazione pluridimensionale più corretta è attuabile solo per mezzo o con ausilio matematico. In breve, aldilà della facilità con cui artisticamente a volte s’illustrano esotiche “dimensioni spaziali” e si usa l’espressione come sinonimo indicante località comunque praticabili come il nostro ambiente, esse possono ben delinearsi e approcciarsi solo con calcolo e ricomposizione indiretta e astratta.[2]
Comunque, malgrado l’incompatibile recepibilità piena e diretta da parte di strutture corporee a tre dimensioni riguardo quelle pluridimensionali (in senso metrico), si stanno studiando soluzioni scientificamente attendibili per aggirare i limiti fisici e sfruttare un’altra eventuale dimensionalità (nel tessuto spazio-temporale conosciuto) per aprire passaggi occasionali in grado di trasportare viaggiatori e/o oggetti (che però nello spostamento rimarrebbero e continuerebbero a sperimentare solo le proprie dimensioni originarie) tra punti anche reciprocamente remoti del cosmo e/o per muoversi avanti e indietro nel cronotopo. L’uso di materia esotica con proprietà o effetti antigravitazionali, prodotta artificialmente o trovata in natura, è indispensabile a tal scopo. Ma su queste possibilità, avvicinanti la produzione fantascientifica alla scienza ortodossa, vi è marcata divisione nella comunità accademica; sul tema si resta nell’ambito puramente teorico e finora mancano solidi indizi osservativo-sperimentali relativi ad elementi macroscopici, mentre qualcosa si nota nello studio quantistico a livello atomico; e il meccanismo (per ora avveniristico e ipotetico) per creare dei tunnel utili al suddetto obiettivo sarebbe quello d’espandere ai limiti del macro quelle proprietà che diverse teorie (ma non tutte, non v’è unanimità di giudizio) calcolano esistenti ma confinate al massimo entro la misura del nucleo atomico[3].
Così, quanto il viaggio nel tempo, il passaggio in una o più dimensioni parallele è un tema classico della fantascienza. Una realtà parallela, nell’ambito del fantastico, è chiaramente un espediente che lascia infinite possibilità, poiché se nella nostra realtà certe cose si sono evolute in altre, in quella parallela potrebbe non essere successo così. L’invenzione di trame basate su una linea storica alternativa ha dato origine al genere distinto dell’ucronia; in tale filone non è generalmente contemplata la compresenza di più dimensioni. A volte il tema della dimensione parallela si lega a quello del viaggio nel tempo, a causa dei paradossi che quest’ultimo può generare. (Al proposito il quantistico David Deutsch ritiene che proprio la ramificazione di realtà parallele, almeno quella compatibile con la teoria di Hugh Everett, offra una scappatoia o soluzione alle possibili attese paradossali degli spostamenti nel passato: dei quali il principale è il paradosso del nonno).

Neuroni a specchio

Da quando in un laboratorio di neurofisiologia dicono di aver   scoperto l’esistenza dei neuroni a specchio, molti intellettuali si sono entusiasmati all’idea che gli stessi neuroni possono essere attivati dall’esecuzione di un’azione e dall’osservazione della stessa azione. A mio parere e’ un po’ come la scoperta dell’acqua calda, cioe’ non dobbiamo immaginare troppo che le cellule neuronali abbiano funzioni specifiche, la stessa cellula si puo’ attivare con funzioni cognitive differenti, ma anche i mediatori chimici non sono univoci come li vorremmo immaginare, le sinapsi colinergiche possono essere attivanti o inibenti, dipende. Da questo possiamo dedurre solo che il sistema cerebrale e’ come una rete telefonica la quale permette il passaggio di comunicazioni ma non determina i contenuti delle comunicazioni, per fare una analogia, non possiamo scambiare l’attivita’ elettromagnetica dei cellulari con il contenuto di un discorso: Mario dice a Piero stasera andiamo a mangiare una pizza. Semmai esiste una fonte da cui partono i contenuti dei nostri pensieri questa va cercata altrove, non nel cervello. Riduzionismo e verita’ scientifica sono cose differenti poiche’ forse se con una troppa “apertura intellettuale” si fa solo della fantascienza con sola l’ottusita’ mentale di certo non si giunge a conoscenza, semmai solo a pregiudizi scientifici ostativi di conoscienza.

Lo specchio doppio e bidirezionale per trasferire “tempo-spazio”?

Ora appare evidente che l’ipotesi dell’habit theory, di tre insiemi dimensionali, comunicanti, di cui solo nell’insieme spirituale “abiterebbe” il tempo e lo spazio, mentre in quelli mentale e materiale solo “il movimento” è difficile da concepire.

Se noi decidiamo di intraprendere una azione, per esempio far esplodere una parte di roccia montagnosa, lo facciamo in un determinato “tempo” e “spazio” con la conseguenza che quella realtà materiale in quel tempo e in quello spazio è modificata; quindi come si può pensare che in un ipotetico insieme dimensionale materiale, non esista il tempo?

Vero, agendo sulle variabili spazio-tempo nella dimensione materiale  possiamo per esempio produrre la disintegrazione della forma (esplosione e distruzione di una roccia) vero anche che l’azione “materiale” sembra esercitarsi in un determinato tempo e spazio, ma se noi ipotizziamo che il tempo e lo spazio siano presenti solo nella dimensione spirituale, dobbiamo immaginare che spazio e tempo (spirituali) si riflettano (come l’immagine di uno specchio doppio) sulla realtà materiale e da li ritornino riflessi sulla realtà spirituale in modo che “codificati nel tempo e nello spazio” ritornino (aggiustati) alla realtà materiale in un processo (susseguirsi di forme) che fa sembrare che il tempo e lo spazio siano presenti (abitano) nella realtà materiale. Pertanto nella realtà materiale non c’è la scomposizione del movimento in tempo e spazio, ma questa scomposizione abita di riflesso la realtà materiale. Ovvero, tempo e spazio si riflettono nella materia e permettono di esercitare un’azione nella dimensione materiale che produce un cambiamento della forma materiale che però è priva di spazio e tempo. Fenomeni che potrebbero “avvallare” questa ipotesi sono i cosi detti miracoli, apparizioni di realtà spirituali, cioè tutti i fenomeni che il positivismo etichetta come suggestioni, ma anche pensare che i tratti sempre di suggestione è poco credibile, quindi potremmo pensare di cambiare modo di concepire la realtà in cui esistiamo per esempio nel modo sopra descritto.

Tornando all’esempio dell’esplosione della roccia, questo cambiamento nella dimensione materiale non produrrebbe alcun cambiamento nella dimensione spirituale.

Quando la soggettività energetica a causa di una prevalenza del nulla si sposta tutta nella realtà materiale (es roccia) li permane inerme e si scollega dagli insiemi dimensionali mentale e spirituale. In alcune forme cosi dette deliranti, che potremmo considerare come “svelamento della realtà spirituale, o inconscio collettivo come sosteneva Jung, alcuni pazienti dicono di avere paura di diventare come le pietre per sempre, ossia che la loro soggettività energetica si trasformi in “nulla permanente?” Forse questo è l’inferno di cui parlano le religioni?

Spazio tempo come variabili immateriali

Problematicità delle variabili: tempo-spazio

Lo spazio e il tempo andrebbero considerate come variabili immateriali stabili solo nell’insieme dimensionale spirituale, in quanto non misurabili numericamente con esattezza nell’insieme dimensionale materiale.

 

tradotto con google:

Problematic variable time-space
As I stated energy efficiency has constitutive unit variables: intensity and movement as a whole and only spiritual dimension, the variable movement is broken down into variables: space / time. This aspect for the time being guessed is difficult to sustain according to a scientific positivistic, or supported by the perceptibility of sensory phenomena. It ‘clear, however, that there is a reality can not be perceived by the senses (sight, touch, hearing, smell), for example, the thoughts, or at least the content of thoughts is not perceptible by the senses, but nobody can deny that there is as much as a wooden table.
So according to a scientific non-positivist perspective, space and time belong to a reality, “immaterial” that can be measured in the abstract (numeric) but the numbers in material reality (the language from the semantic point of view can not be heard by the senses so it is immaterial) do not exist when you try to measure the material reality of the numbers we are often faced with the mathematical paradoxes, with infinitesimal numbers or anything, just in the area of ​​spiritual reality is exact numeric, for example by phonemes (letters of ‘alphabet) and corresponding numbers.
It ‘should be understood in this sense that the space-time variables, ie variables measured numerically, the measurement of which does not create paradoxes numeric interpretations experts cabalistic they are good because the mismatch reveals a numerical error that allows them to correct the ‘interpretation, do not get to actually “numerical unrepresentable” as happens in reality perceived through the senses. Dates (numerical correspondences time) and words (numerical correspondences space) are perfectly combined in a semantic system that with ease is revealed to those who know him (eg Jewish mysticism, but I think there is also something similar in Buddhism , Taoism, Hinduism), then according to a rational non-anthropocentric perspective (my sight, my hearing, my thoughts) time and space that can not be the whole spiritual dimension.