F-Psicoarchitettura appunti

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L’habit theory /appunti

19 agosto 2007

a) la persona e la sua casa

L’abitare e la struttura di personalità

Talvolta partire dal significato etimologico di un termine aiuta ad approssimarsi verso un significato complesso quanto profondo quale, il valore dello spazio privato per una persona, che è anche rappresentazione mentale di questo spazio.
Habere in latino significa stare, possedere e da questo verbo deriva habitum, che indica l’aspetto esteriore la qualità la caratteristica.
“Abito” come anche “abitare” e “abitudine” indicano tre termini indicano, è l’espressione visibile di una parte della nostra personalità.
La personalità di ognuno non è qualcosa di stabile e immutabile, può variare nel corso della vita ma questa variazione necessita di tempi e modi che il soggetto stesso sceglie, se non c’è adesione da parte del soggetto la modifica di un comportamento o di un tratto di personalità può essere percepita come egodistonica o tradursi semplicemente in una forma di compiacenza provvisoria.
Il proprio sé risiede anche nelle nostre abitudini e il nostro abitare uno spazio è uno stare “seduti” uno stabilirsi su riferimenti costanti come la nostra personalità si “stabilisce” su tratti costanti, fra l’abitare e l’espressione della personalità c’è un indubbia relazione.
Da ciò si deduce quanto i conflitti abitativi possano produrre seri problemi psicologici in quanto mettono in crisi elementi che favoriscono il costituirsi, durante il percorso di vita di ognuno, della struttura di personalità.

Il bisogno di sicurezza e la compromissione dei bisogni di base

Gli psicologi umanisti ritengono che la soddisfazione dei bisogni primari fra cui quelli fisiologici e quelli di sicurezza siano condizione necessaria e indispensabile per poter procedere alla soddisfazione dei bisogni secondari tra cui quelli affettivi e di autorealizzazione.
Da ciò si evince che la compromissione del bisogno di sicurezza blocca la soddisfazione del bisogno d’amore, stima, conoscenza ecc. cioè quelli più elevati.
Sarebbe come dire che senza cibo, letto e tetto passerebbe a chiunque la voglia di amare, lavorare, conoscere e così via.
Benchè gli psicologi umanisti non rappresentino tutte le teorie psicologiche è facile intuire che c’è del vero in ciò che dicono infatti dove esistono popolazioni di cultura nomade (in questo caso non c’è il tetto) essi si muovono in gruppi piuttosto numerosi e pertanto il bisogno di sicurezza non viene compromesso.
In una cultura individualistica come la nostra, una seppur minima minaccia e compromissione del bisogno di sicurezza viene vissuta come minaccia all’integrità psico-fisica e pertanto assume un valore elevato d’intensità soggettivamente percepita di stress.
Da ciò si deduce che le cosidette “liti condominiali” che talvolta potrebbero apparire come eccessive e paradossali hanno ragioni ben più valide di quanto, da non coinvolti, possano sembrare.

b) Ia persona e i suoi vicini di casa

Gli effetti fisiologici e psicologici della provocazione sistematica e continuativa

Ognuno ha un suo sistema percettivo-sensoriale: benchè la percezione di uno stimolo visivo, uditivo, tattile, olfattivo, gustativo sia pressochè uguale per tutti, l’attenzione, l’elaborazione, la rappresentazione, la memorizzazione di ciò varia da soggetto a soggetto.
Ognuno di noi è persistentemente immerso in una quantità infinita di stimoli, poiché il nostro sistema nervoso non li può elaborare tutti tendiamo a preferire un canale piuttosto che un altro, esempio quello uditivo o quello visivo, pertanto potremmo prestare attenzione a un numero maggiore di stimoli visivi piuttosto che uditivi, il che non significa che percepiamo solo stimoli visivi ma semplicemente che nel dare più importanza a questi utilizziamo di preferenza questo canale ma anche gli altri sistemi sensoriali sono attivi.
Se uno stimolo visivo è fastidioso, ad esempio luce intermittente, lo possiamo evitare girando semplicemente la testa, ciò è meno fattibile con gli stimoli uditivi poiché per evitare uno stimolo uditivo fastidioso, per esempio il suono di un allarme, dobbiamo evitare tutti gli stimoli uditivi,tappandoci le orecchie, fra cui magari anche il suono della sveglia che ci permette di arrivare al lavoro in orario.
Procedendo con lo stesso esempio se l’allarme suona tutte le mattine alle cinque all’apertura della saracinesca di un bar perché il proprietario del bar si dimentica di disattivarlo le cause della reazione che danno luogo a frustrazione potrebbero essere:
a)è un suono molto alto
b)è un suono che provoca allerta
c)avviene nella parte terminale delle fasi del sonno
d)non può essere evitato perché non prevedibile
e)non può essere eluso perché comporterebbe l’elusione di altri suoni che sono necessari
e l’elenco si potrebbe allungare ma poco importa perché anche una sola delle cause genera frustrazione e quindi aumento dell’aggressività che può essere repressa oppure messa in atto.

In tal caso non si tratta di provocazione in quanto il disturbo proviene da un atto o mancanza involontaria, per esempio poniamo il caso che si tratti di un barista anziano, bevitore e un po’ perso… se non abbiamo un atteggiamento di accusa la frustrazione è meno intensa, ma attenzione è proprio per dimiuire l’intensità della frustrazione che spesso siamo portati a sottostimare la volontà di un’azione disturbante.
In realtà in molta bonarietà è insito un vantaggio secondario, ci si arrabbia meno e ci si sente meglio, anche se ciò comporta una “quiescenza giustificatoria” che potrebbe condurre a vera e propria provocazione per il solo gusto di agirla, da parte del disturbatore.
In altre parole un atteggiamento di eccessiva bonarietà può trasformare un’inavvertito disturbatore in provocatore “di professione”
Senza per ora dilungarsi su alcune caratteristiche di taluni soggetti in merito a tratti di personalità oppositivi o antisociali e sui motivi di ciò, è utile comprendere come in questi casi sia importante essere “definitori” e chiari nei confronti del disturbatore onde evitare che diventi un provocatore di cui è difficile liberarsi.
L’occasionale disturbatore, e non sappiamo se è un potenziale provocatore, non dovrebbe cogliere alcun soggettivismo nelle vostre rimostranze, non deve pensare di esservi in qualche modo antipatico, anche se ciò sarebbe una legittima conseguenza del suo comportamento, la sospensione del giudizio nei suoi confronti è d’obbligo.
La rimostranza dovrebbe avere carattere di oggettività e neutralità, e nelle fasi iniziali non dovrebbero essereci intermediari; la gestione di questi momenti è molto importante in quanto ha il potere di risolvere sul nascere il conflitto.
Se il disturbatore diventa un provocatore, inizia a mettere in atto una strategia più o meno premeditata, diciamo che un po’ stressa perché se ne dimentica e un po’ perché lo fa appositamente.
Dopo un po’ di tempo si può parlare di vera e propria provocazione continua e sistematica, le caratteristiche di questo tipo di provocazione sono:
a – le provocazioni sono mirate alle caratteristiche della vittima ovvero se ad esempio è una persona con prevalente utilizzo del canale uditivo le azioni di disturbo saranno in prevalenza rumori, oppure se è una persona che ama l’ordine e la pulizia vi saranno spesso “casuali” macchie di ogni genere per le scale, se il soggetto tende ad addormentarsi presto la sera la televisione ad altissimo volume fino notte inoltrata del vicino provocatore diventerà una consuetudine ecc
b – la maggior parte imprevvedibili
c – possibilmente inevitabili
d – protratte nel tempo
e – continuative
Il provocatore nell’attuare questa strategia si sente piacevolmente invincibile e inpunibile, è come se godesse di una rivincita sulle figure genitoriali o educative, di solito questo tipo di persone non hanno avuto l’abilità di comprendere il senso e il significato dei limiti educativi; inoltre il bisogno di autoaffermazione/onnipotenza infantile è prevalso sullo sviluppo della posizione di fiducia inibendo la capacità del soggetto di riconoscere l’altro come differente, con cui relazionarsi sulla base di modalità condivise.
La vittima nel fare esperienza di persecuzione inizia ad assumere atteggiamenti ostili generalizzati prima sulle figure affettivamente più vicine poi sempre di più su tutti.
L’imprevvedibilità delle azioni disturbanti eleva l’attivazione psico-fisiologica in uno stato di allerta persistente simile a quella di un militare americano nel Vietnam dove l’imprevvedibilità era una vera e propria tattica militare, un po’ meno intensa , se non vi sono state minacce, in quanto non è presente il timore di perdere la vita.
L’inevitabilità genera spesso un’intensificarsi della frustrazione e la conseguente e più diffusa reazione di repressione dell’aggressività può produrre sintomi psicosomatici fino ad arrivare a un sempre più profondo senso di inefficenza e incapacità date dal fatto che le azioni di disturbo diventano continuative e protratte nel tempo, ottime fondamenta per una sindrome depressiva grave.

Un soggetto con disturbo di personalità sadico-ossessivo e la sua capacità di destabilizzare qualsiasi sistema

Alcuni colleghi mi perdoneranno questo abbinamento in un unico disturbo di personalità di due disturbi di personalità di cui uno, quello sadico, non in elenco nel famosissimo Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali.
Infatti è dagli anni novanta che il disturbo sadico, di personalità viene dai professionisti del “psiche” praticamente ignorato, per esempio il disturbo masochista lo si può trovare un po’ nel “disturbo dipendente di personalità” ma il sadico pare sia proprio scomparso dalla manualistica, per quale ragione?
Forse che il sadismo rientra nella normalità? O forse che vi è un sadismo sublimato fra gli psichiatri e poiché loro stessi hanno codificato questi disturbi non potevano certo mettersi fra i disturbati.
In ogni caso a mio parere il sadismo è un disturbo di personalità che inizialmente può essere percepito non come egodistonico, ma anche il “maniacale” sostiene di sentirsi benissimo, se proprio non lo si vuole inserire nei disturbi di personalità potremmo almeno parlare di sadismo patologico come si parla di gioco d’azzardo patologico.
Poiché non è questo lo spazio adatto per disquisire sulle categorie diagnostiche datemi per buona questa categoria di “disturbo sadico-ossessivo” ben approfondita dalla scuola analitica ora pare gettata “assieme all’acqua sporca”.
Il sadico-ossessivo si trova sempre quando si studiano situazioni di mobbing, il sadico trova immenso a piacere nel distruggere qualcosa di valore per una persona indipendentemente che questa persona sia o no affettivamente significativa per il sadico, il piacere principale è nel creare dolore a qualcuno; il sadico-ossessivo ha un doppio piacere quello del dolore inferto e quello della posticipazione in crescendo del proprio piacere, cioè crea tanti piccoli dolori alla vittima prescelta ma si sente ancora più potente nel controllare questo proprio piacere al fine di averne uno finale molto intenso ovvero la distruzione definitiva della vittima ad opera della vittima stessa, è quasi come un “coito” tutto mentale fantasticato come delirio d’onnipotenza che sfugge completamente al controllo del super-io poiché la vittima viene portata al punto di dover decidere se continuare a soffrire oppure suicidarsi, l’azione finale è della vittima e per il sadico-ossessivo non sarà difficile autoingannarsi riguardo la propria innocenza dal momento che anche per il contesto ciò è di difficile valutazione come per l’appunto nel mobbing.

Infatti il mobber, cioè colui che agisce il mobbing, utilizza una strategia fatta di piccole azioni che prese isolatamente sembrano innoque, in un condominio il mobber sceglierà una o più vittime e agendo in modo sistematico e continuativo le porterà all’esasperazione, ovviamente le vittime scelte non avranno alcun rapporto fra di loro e visto dai non coinvolti il mobber sembrerà al massimo un po’ strano ma decisamente innocuo; infatti il mobber di solito si atteggia a sempliciotto un po’ distratto, sa depistare chiunque con molta facilità e al massimo dopo molti anni, se messo alle strette simula qualche dissociazione e all’eventuale giudice non resta che affermare l’incapacità d’intendere e volere al momento del fatto, poi il sadico-ossessivo continua con la sua preferita attività far soffrire qualcuno senza che nessuno se ne accorga.
A mio parere di tali personalità patologiche se ne trovano in numero sempre maggiore, sanno mimetizzarsi molto bene ma basta prestare attenzione al contesto in cui vivono per rendersi conto dell’eccessiva tensione che caratterizza quel contesto, cioè possiamo più facilmente riconoscere un ambiente in cui opera un sadico ossessivo piuttosto che il sadico ossessivo stesso.
Le persone che vivono in una situazione in cui opera un sadico ossessivo è come se vivessero un po’ sospese, ostentano un’esagerata calma e si atteggiano come se mai fosse andato così bene, le conversazioni di carattere critico sono praticamente inesistenti ma soprattutto si nota una quasi totale assenza di humor.
Infatti potremmo definire il sadico ossessivo una specie di leader occulto, autoritario e pertanto così infantile da essere incapace esso stesso di humor ma anche molto abile nell’inibirlo nell’altro, infatti potremmo ritenere che l’humor è per il sadico ossessivo un “nemico” temibile in quanto svela ciò che è mascherato.
Carla Foletto
Pubblicato su http//it.wikiversity.org il 19/08/2007

 

La risonanza nell’habit theory

9 marzo 2010

SULLE ALI DELL’ANIMA

SI POSE IL CANTO DI UN USIGNOLO

E MENTRE IL SOLE DISEGNAVA LE NOTE DEL CANTO

E IL VENTO DANZAVA CON LORO

IL PERTURBANTE

PIOMBO’ COME UN MACIGNO

SULL’ANIMA, CHE CADDE A TERRA

E CON IL PROPRIO PIANTO INIZIO’ A SCAVARSI UNA FOSSA

MENTRE QUALCUNO DICEVA: E’ UN CASO GRAVE

“LA PSICOTERAPIA” CONTINUAVA A RIMETTERE TERRA DOVE L’ANIMA LA TOGLIEVA

POI L’ANIMA SI STANCO’ DELL’INUTILE SCAVARE E RICOMINCIO’ A VOLARE

da “Linguaggi altrove” di C.F. 2007

www.studiopsicologiamantova.it

Parole tanto per capirsi

Parole tanto per capirsi 27/01/2008

Talvolta partire dal significato etimologico di un termine aiuta ad approssimarsi ad un significato complesso quanto profondo quale il valore dello spazio privato per una persona, che è anche rappresentazione mentale di tale spazio.
Habere in latino significa stare, possedere e da questo verbo deriva habitus, che indica l’aspetto esteriore, la qualità, la caratteristica.
“Abito”, come anche “abitare” e “abitudine”, è l’espressione visibile di una parte della nostra personalità.
La personalità di ognuno non è qualcosa di stabile e immutabile, può variare nel corso della vita, ma questa variazione necessita di tempi e modi che il soggetto stesso sceglie. Se non c’è adesione da parte del soggetto, la modifica di un comportamento o di un tratto di personalità può essere percepita come egodistonica o tradursi semplicemente in una forma di compiacenza provvisoria.
Il proprio sé risiede anche nelle nostre abitudini e il nostro abitare uno spazio è uno stare “seduti”, uno stabilirsi su riferimenti costanti. Come la nostra personalità si “stabilisce” su tratti costanti, fra l’abitare e l’espressione della personalità c’è un indubbia relazione.
Da ciò si deduce quanto i conflitti possano produrre problemi, in quanto mettono in crisi elementi che favoriscono il costituirsi, durante il percorso di vita di ognuno, della struttura di personalità.

1.a.Filologia del conflitto

Il termine “personalità” ancora richiama a qualcosa che avvolge la persona, qualcosa di molto vicino – dall’etrusco phersu che significa maschera – e ciò che richiama inevitabilmente il rapporto con l’altro, è il senso di un accedere ad un luogo sacro, privato e prezioso per ognuno. Allora, con un gioco di parole habit diventa adit, dal greco con equivalente in latino “accedere al tempio”, ovvero entrare con il giusto atteggiamento in uno spazio particolare e sublime: il rapporto con l’altro è come un accedere al tempio, se l’entrare è in armonia con l’ habit dell’altro, e potremmo chiamare tale entrare adit.
Se questo entrare diventerà uno “spingere in avanti”, un “premere” cioè agere, da cui deriva “agile” ma anche “agitare”, cioè muoversi velocemente, muoversi egoisticamente con il solo scopo di raggiungere un obiettivo, come se “l’agile” “agitasse” l’ingresso al tempio, allora adit diventerà agit, e abit non verrà più concesso, ovvero il tempio si nega come si nega l’essere che è in noi e la maschera che sorge alla porta del tempio diventa brutta e cattiva come quelle che sono poste sulle pareti della cattedrale di Notre Dame di Parigi; da qui hanno origine i conflitti con i compagni di classe, come se si volesse entrare senza aver pagato il biglietto nella cultura, nella differenza, nel tempio dell’altro.

1.b.Tre personaggi sull’onda del palinsesto.

Miss Abit era una signorina con modi molto garbati che amava la stabilità, il suo passatempo preferito era quello di guardare il cielo per capire se potesse rispecchiarsi nel suo piccolo pozzo interiore che amava chiamare anima. Mister Adit andava spesso a trovarla e da lei riceveva “riconoscimento”, era come se percepisse di esistere ed ella era come “compiaciuta” per queste attenzioni, come se anche lei sentisse di esistere. Questa loro amicizia si chiamava relazione ed entrambi, per amore l’uno dell’altro, facevano attenzione a non stonare di una sola nota.
Un giorno un energumeno di nome Agit decise di occupare l’abitazione di Miss Abit, agilmente s’inoltrò nel suo giardino e al momento giusto spinse fuori Mister Adit, che premurosamente aveva cercato di avvisare Miss Abit dell’intrusione.
Poi Agit premette a lungo sul campanello di Miss Abit, ma non ottenne risposta. Fece altri tentativi, ma non riusciva ad entrare nell’abitazione di Miss Abit, da lei riceveva “disconoscimento”. Dopo un po’, Agit iniziò ad identificarsi con i propri desideri, con il risultato che avvertiva come un vuoto interiore.
A causa di ciò iniziò a guardarsi indietro e capì che il suo “premere” non portava ad alcun riconoscimento, bensì solo ad imporre se stesso e questo, a sua volta, a “perdere se stesso”. Da questo guardarsi indietro comprese il senso del rispetto, rispetto necessario per poter ritrovare se stesso.
Lungo la strada del rispetto Agit incontrò Meteoro, un signore anziano che gli rivelò che in realtà in ognuno di noi esistono Abit, Adit e Agit: Abit e Adit funzionano come correnti ascensionali e Agit come corrente discensionale.

2.a.Desiderio e amore di sé

La soddisfazione di un desiderio troppo spesso si scambia per soddisfazione di un bisogno: è la nostra parte più fragile, quella più vulnerabile ma anche “il nemico che c’è in noi”. Da questo aspetto è nata una disciplina spirituale: il Buddismo, che indica la via tramite le otto rettitudini che potrebbero essere considerati i nostri veri bisogni – perdonino i buddisti l’eccessiva semplificazione – e insegna come liberarsi dalle passioni e dai desideri per ottenere la tanto ambita felicità. Dal punto di vista psicologico, il desiderio può essere definito anche come tensione verso un “oggetto” sbagliato, una “confusione” d’oggetto.
L’altro “nemico in noi” da combattere è il “ritiro dall’oggetto” ovvero dapprima indifferenza per tutto ciò che non è il proprio io o un prolungamento del proprio io, poi l’assoluta cecità per ciò che è al di fuori del proprio io e da ciò l’assoluta insensibilità per l’altro e l’eccessiva sensibilità per se stessi, amore solo per sé, quello “pseudoparadiso” che è in ognuno di noi chiamato narcisismo. Anche qui troviamo una spiritualità che, se correttamente intesa, cerca di contrastare questa seconda debolezza dell’essere umano, il Cristianesimo, con il suo comandamento primo di amare il prossimo come se stessi e con le sue beatitudini (beati i poveri, i miti, gli umili di cuore, i costruttori di pace ecc.) che potrebbero essere indicazioni pratiche di come vincere quel narcisismo che tanto ci rende infelici – anche qui perdonino i teologi per tanta semplificazione.
Bramosia e narcisismo, quatti quatti, impediscono la nostra crescita, assieme ad altri lati oscuri del nostro essere come ad esempio i sentimenti negativi, come la gelosia e l’invidia e, a dir il vero, fra averli dentro o incontrarli sulla propria strada, è di gran lunga più “desiderabile” la seconda ipotesi.

2.b.Una dura battaglia

Un tempo esistevano due grandi contee: la contea di Brama e la contea di Narchè. Il conte Brama s’innamorò perdutamente della contessa Narchè e la sposò. Da questo matrimonio nacque il regno di Infelix, posto adiacente al regno di Felix.
Gli abitanti di Infelix da un po’ di tempo avevano iniziato ad emigrare nel regno di Felix, cosicchè Brama e Narchè erano irati, perché a risentirne era l’economia del regno ed in particolare la loro stessa ricchezza. Allora annunciarono battaglia al re di Felix, di nome Felix, un bonaccione sobrio e distaccato proveniente dalla casata degli Omili. Costui aveva sposato una romantica principessa della casata degli Egonograzias di origine spagnola, di nome Agapesa. I sovrani di Felix non avevano alcuna voglia di iniziare battaglie e così Brama e Narchè, per evitare ulteriori rimandi, concessero loro di scegliere le armi per la battaglia. I regnanti di Felix capirono che questa battaglia era ormai inevitabile, così accettarono e scelsero di comune accordo, come unica arma, il discorso e solo loro quattro come partecipanti alla battaglia. Narchè andò su tutte le furie poiché sosteneva che non si era mai visto un regnante partecipare direttamente ad una battaglia, ma Brama iniziò a farle intravedere i vantaggi dell’eventuale vittoria: non avrebbero avuto perdite di uomini e potevano impossessarsi di un regno dieci volte più grande del loro. Narchè capì che poteva essere la prima e unica sovrana di un regno tanto grande e accettò.
La battaglia iniziò e Brama attaccò Felix dicendo che il suo regno era fittizio, ma Felix lo neutralizzò con un semplice: “Tu sai che non è vero”, allora Agapesa si parò di fronte a Narchè, ma Narchè s’accorse di non sentire nulla e di vedere solo le labbra di Agapesa muoversi, allora s’irritò e chiese perché mai muovesse solo le labbra e non parlasse. Brama corse in suo aiuto, ma fu costretto a dirle che tutti sentivano ciò che Agapesa diceva, solo Narchè non lo sentiva. Narchè si spazientì e disse:”Ma se non sento, come faccio a combattere?” A Narchè mancava la capacità di sentire perché ascoltava solo se stessa, allora Brama chiese di sospendere la battaglia, ma Felix non volle e svelò loro che se avessero vinto la bramosia e il disprezzo per l’altro che si annidava in loro, potevano vincere. Brama si oscurò in volto e disse che poiché era stato a lui concesso di ottenere tutto ciò che voleva, la sua bramosia era infinita e non poteva essere vinta. Allora Felix gli propose di iniziare proprio da quella battaglia che aveva perso. Per una volta infatti non aveva ottenuto ciò che voleva e per un attimo Brama sperimentò il distacco, si sentì felice e lo trovò interessante. Narchè per la prima volta pensò che forse di fronte aveva una persona che stava dicendo qualcosa d’interessante, ma ella era troppo presa da sé, non poteva sentire. Felix e Agapesa stavano iniziando ad avanzare e a trasformare Infelix in Felix e qualche emigrato da Infelix stava pensando all’ipotesi di tornare nella sua terra d’origine.
Morale: non desiderare cose inutili, ma cerca la verità in tutte le cose, non sentirti così superiore da non sentire più cosa ti dice l’altro, ma poniti in vicinanza senza confonderti con lui e accogli nel tuo cuore ciò che di interessante ha da dirti, così crescerà in te il regno di Felix e scomparirà quello di Infelix.

3.a. Effetto televisione sullo sviluppo psico-affettivo
Le nuove generazioni non hanno potuto sottrarsi all’influenza dei mass media e spesso non si tiene sufficientemente in considerazione l’aspetto frustrante sotteso, ovvero “ascoltare senza essere ascoltati”. Noi siamo cresciuti in contesti dove l’interlocutore ci vedeva, noi potevamo rispondere e modificare i suoi messaggi o atteggiamenti, anche una non-risposta era una risposta, come ampiamente teorizza la psicologia sistemica, ma i giovani d’oggi sono cresciuti impiegando molto tempo a guardare ed ascoltare la televisione senza essere da lei guardati ed ascoltati. Non possiamo lamentarci della loro fragilità, del loro sentirsi “invisibili”, del loro bisogno di far chiasso e di farsi notare, l’ascoltare al di là di un video è come non esistere, è come un furto, è un rubare l’ attenzione senza dare altrettanta attenzione in cambio, viene tolta la possibilità di comunicare e far sì che qualcuno ti presti attenzione. Questa può essere considerata una forma subdola di narcisismo “subito”, e da questo narcisismo si può apprendere l’atteggiamento fondamentale nei confronti della vita, allora avremo ragazzi che non sanno e non vogliono ascoltare, che vogliono solo farsi notare o lasciare il segno del loro passaggio, come talvolta capita negli stadi o con i graffiti sui muri, ragazzi che hanno appreso l’indifferenza proprio da quelli che sembravano innocui passatempi, è come se fosse stata loro rubata “la relazione e il suo tempo” in cambio di fittizio benessere non impegnativo a cui non sanno rinunciare.

3.b.La sindrome del fantasma

In un castello popolato da fantasmi viveva il fantasma Certosino, era il fantasma di un frate certosino morto 784 anni prima. Quando il fantasma Certosino girava per il castello, percepiva solo rumori, oggetti rompersi, ed il castello del Conte Scolastico stava andando sempre più in pezzi. Piuttosto scocciato, il fantasma Certosino decise di recarsi dalle autorità competenti per chiedere spiegazioni. Giunto da San Pietro dopo un peregrinare fra inferno e purgatorio senza ottenere alcuna risposta, anche San Pietro, scuotendo il capo, gli disse che per il castello del Conte Scolastico era già stato tentato di tutto e che non c’era nulla da fare. Il fantasma Certosino lo minacciò che si sarebbe suicidato, anche se in realtà non era possibile, perché lì la vita, pardon, il dopo-vita, non era più possibile. San Pietro, impietositosi, gli indicò le nuvolette da seguire per arrivare a Lui, l’Unico a sapere cosa fare. Il fantasma Certosino non perse un millesimo di eternità e si recò da Lui, che si concesse con le sembianze di un bambino e naturalmente gli disse: “So già cosa mi devi chiedere, ma prima ti dico che nel castello dove sei, come in tanti altri castelli costruiti dalle menti degli uomini, nessuno si rende conto dell’esistenza degli altri, pensano di esistere solo loro, ma è proprio per questo che non sentono di esistere e da ciò deriva la loro sofferenza, sentono che qualcun altro intorno a loro esiste, ma non lo vedono e così, per farsi sentire, fanno rumore, rompono oggetti, causando proprio quella distruzione, che tu vorresti cessasse. E’ per questo che sei qui e ti devo dire che ho mandato anche il mio Unico Figlio per offrire gratuitamente altro Amore, ma quei testoni hanno chiuso la porta convinti come sono di essere dio. Basterebbe solo che cogliessero questo piccolo particolare, che con un termine in “teologhesse” si definisce Verità.” Il fantasma Certosino chiese se si potesse fare un’ eccezione per la Contea Scolastica, allora Lui rispose che ci stava provando con …

4.a.Firmare senza farsi riconoscere

Cosa ci sarà dietro a così poco rispetto per cose che non ci appartengono o che sono state fatte da altri? Ancora un “fantasma” che vorrebbe esistere? “La mia firma in tutta la città” .… peccato che non si possa riconoscere: una firma anonima, che paradosso! Eppure la convinzione in chi la fa che susciti attenzione, interesse perché si discosta dall’urbano e da ciò che forse rappresenta, ovvero l’anonimia, il segno dell’anonimia si traduce in graffito ma ancora resta immobile in questo destino e chi lo fa, ancora non riesce a cambiare il proprio destino, l’ineluttabile anonimo destino.

4.b.Il gatto che si scelse il nome

C’era un gatto rosso che frequentava il giardino di una villetta nei pressi di Magenta. Da tipico gatto di strada, stava solo pochi secondi per sbaffarsi il cibo, poi spariva. Un giorno gli venne una macchietta sul pelo e la persona che gli dava il cibo si preoccupò tantissimo e chiamò l’ASL. Dopo diversi agguati, venne preso e messo in una gabbia per curarlo, ma con il passare del tempo il micio si ammalava sempre di più e gli era venuto anche un forte raffreddore. Chi accudiva il micio iniziò a preoccuparsi e cercò qualcuno a cui darlo. Quando lo trovò, glielo affidò nella speranza che il gatto, non essendo rinchiuso in una gabbia, si riprendesse. E in effetti fu così: una volta libero, il micio riprese vitalità e voglia di mangiare. Inizialmente venne chiamato Magenta, ma il micio non rispondeva, poi lo si chiamò Pluto, ma anche a questo nome non accennava minimamente a reagire. Si tentò allora con Romeo, ma nulla da fare. In un pomeriggio caldo e soleggiato, quando non resta altro da fare che vagare con la mente e rimanere immobili davanti a un ventilatore, le associazioni si avvicendano ed ecco il “motore immobile” – ah già, ma chi l’ha scritta questa cosa? Plotino, ah sì, mi pare proprio Plotino. Poi lo sguardo si sofferma sul micio: “ Plotino!”, ed ecco un cenno di risposta e nei giorni seguenti, stessa cosa; poi Plotino divenne Plotty e il micio rispondeva solo al richiamo Plotty o Plotino.
Il micio si era scelto il nome come il graffitaro: aveva potuto farlo oppure l’aveva voluto? Ma dopo essersi scelto il nome, perché rimanere anonimi? E’ questo che non si capisce negli uomini: i paradossi che contraddistinguono la maggior parte delle loro azioni. Almeno il micio, una volta che il nome gli piaceva, si comportava coerentemente, rispondeva a quel nome, ma l’essere umano no, prima si sceglie il nome, poi non lo fa sapere a nessuno, lo scrive in modo indecifrabile e poi si lamenta perché nessuno lo nota!!!!

5.a.Firmare per imporsi: il dialogo che non c’è

E’ possibile che i graffitari non firmino solo per lasciare il segno, ma per imporsi: proprio perchè non vengono guardati né ascoltati, vogliono imporre la loro presenza, anche se anonima – anzi, per assurdo, forse meglio, così non devono impegnarsi in discussioni ecc. – si impongono e basta su “cose” non loro, su muri bianchi che loro non hanno chiesto, non hanno voluto, per i quali nessuno ha chiesto la loro opinione. Il vero problema è sempre comunque l’assenza di dialogo, l’assenza della “fatica” del dialogo, dello spiegare, motivare le proprie affermazioni. Lo vedono gli insegnanti: i ragazzi non sanno argomentare, non sono abituati. Argomentare è “faticoso”, impegnativo, non basta il telecomando. A tale proposito, in un certo senso, l’avvento della videocassetta prima e del dvd dopo ha ulteriormente peggiorato la situazione, perchè si può anche bloccare lo scorrere di una storia dove si vuole, farla tornare indietro, saltare…tutto “on demand” – o forse a volte potrebbe anche essere utile, se servisse però a soffermarsi su una parola o una frase o un’immagine per rifletterci su, come si faceva con i  libri.

5.b.Le stelle non hanno l’interruttore e nemmeno il telecomando.

Nella notte di San Lorenzo un astronomo portò il figlio Slocco nel suo osservatorio per fargli ammirare il fenomeno delle stelle cadenti, ma il figlio era poco paziente e tutte le volte che appariva una stella cadente, aveva lo sguardo sul suo cellulare. Il padre inutilmente diceva: “Eccone là una!”, perché il figlio, tolto lo sguardo dal cellulare, non faceva in tempo a vederla, poi s’irritava e diceva : “Che stupide stelle! Cadono quando non le posso vedere” – inutilmente il padre gli faceva notare che non era colpa delle stelle, ma era lui che non guardava il cielo, che continuava a guardare il suo cellulare. Ma Slocco non ascoltava, anche perché con gli auricolari stava ascoltando per la 2345esima volta un brano musicale di moda. Poi, preso da una certa curiosità, chiese al padre di filmarli, così avrebbe potuto vederseli a casa con comodo, ma il padre rispose che non era possibile, perché le stelle vanno viste senza interruttori e senza telecomando. Tornando a casa, Slocco sentì la conversazione di una bambina con suo padre: “Papà, davvero la mamma è quella stellina che mi hai fatto vedere prima?” “Ma certo, è sempre in cielo e ti vede e protegge sempre” “ Ma papà, allora ho capito: la mamma, come tutte le stelline, non si spegnerà mai, così anch’io per te e tu per me, vero?” Slocco disse a suo padre che quei due si stavano proprio illudendo. Suo padre non aveva parole per esprimere la propria impotenza e amarezza nei confronti del figlio e non rispose, ma Slocco pensò di aver detto una cosa molto vera e rafforzò il suo convincimento, senonché un collega del padre, anch’egli astronomo, disse a Slocco: ”Sei tu che ti illudi pensando di poter conoscere il cielo in un video, e non comprendi che alcune cose molto sottili possono essere spiegate solo con le analogie, l’amore non si può toccare, ma è come una stella, che non si spegne mai anche quando non si vede perché c’è il sole, ovvero non si vede perché magari la persona è morta, ma ciò è molto più reale del cellulare che hai in mano, perché l’amore pulsa sempre come le stelle, il tuo cellulare invece semplicemente ti fa ricordare che ti manca qualcosa…. Sarà questa stella pulsante!!!!”

Le fonti del sapere e le origini delle dittature.

Questo articolo non ha nessuna pretesa di essere ne esaustivo ne scientifico, sono semplicemente delle riflessioni personali che desidero condividere.

Parto da una mia deduzione personale: il sapere e la cultura come oggi la vediamo c’è sempre stata, magari in “forme embrionali” o “potenziali” ma la struttura cognitiva di fondo è sempre stata presente nel genere umano. (asserzione supposta non dimostrabile).

Pertanto, pensano un po’ a quello che abbiamo studiato sui libri di storia, nel primo millennio possiamo individuare sostanzialmente 6 categorie di sapere, in cui si suddividono le persone dell’attuale popolazione mondiale:

CONTADINI si basano sull’osservazione della natura nel tempo e traggono da questo la conoscenza utile per poter coltivare e produrre alimenti. Da loro derivano gli attuali biologi, fisici, medici (neuropsicoscienziati), e tutte le scienze che richiedono una buona capacità osservativa-naturistica.

COSTRUTTORI sanno comprendere le proprietà dei materiali e utilizzarle per inventare artefatti come abitazioni, ponti, città, automobili eccetera. Da loro derivano gli attuali artigiani, ingegneri, e imprenditori, artisti ecc.

GUERRIERI CONQUISTATORI sanno conquistare terre e risorse che serviranno alla collettività d’appartenenza,  non sanno produrre ne osservare ma sanno canalizzare la loro forte aggressività per conquistare ciò che non appartiene  e per darlo alla collettività d’appartenenza in cambio di un “riconoscimento glorioso”. Da loro derivano gli attuali economisti, o un certo tipo di commercio e impresa molto aggressiva, che in un certo senso fa terra bruciata attorno a se, ma questo permette di sopravvivere alla comunità d’appartenenza in espansione demografica.

GUERRIERI DIFENSORI sanno difendere i luoghi e i territori della collettività d’appartenenza. Sono i diplomatici politici e  l’attuale forza militare di ogni paese.

FILOSOFI E MONACI sanno indagare oltre il tempo e lo spazio e scoprono realtà immateriali che hanno valori intramontabili. Da loro dovrebbero derivare gli attuali capi religiosi e politici. (psicologi, giuristi, artisti…..)

SERVI o collaboratori, persone che sanno trattare le proprietà altrui come se fossero proprie, sarebbero gli attuali amministratori, e non vanno confusi con gli economisti. L’amministratore accetta il valore che è stato attribuito a un bene e non lo modifica nel tempo, mentre l’economista accetta apparentemente un valore attribuito per poi deprezzarlo nel tempo in modo da averne un proprio vantaggio, oppure aumenta il valore di un bene diventato suo con un valore inferiore, l’economista appartiene alla categoria del “guerriero conquistatore” cui fa parte attualmente anche un certo modo di fare politica.

 

Premesso, in sintesi, ciò: possiamo dedurre che attualmente la grossa parte di potere sociale è “nelle mani” dei “guerrieri conquistatori” infatti quantificando l’influenza che deriva dall’esercizio delle attività economiche, commerciali aggressive, o imprenditoriali aggressive (es distruzione dell’ambiente) possiamo constatare l’enorme influenza di questa categoria di persone.

(Per esempio la popolazione cinese (in espansione demografica) ha ceduto al proprio interno potere sociale ai propri “guerrieri conquistatori” sbilanciando le attività verso un sistema economico aggressivo  (commercio e imprenditoria molto aggressive, nel senso che sono incuranti dei diritti umani) Da sempre le popolazioni hanno avuto bisogno di conquistare nuove terre quando si espandevano demograficamente, questo per poter assicurare risorse sufficienti alla popolazione. )

Detto questo, poiché un regime è caratterizzato da un eccessivo potere acquisito dal sistema militare (come ci raccontano i libri di storia), e quindi dagli attuali guerrieri conquistatori, (anche se non sono più armati, ma lo stile cognitivo è identico a quello dei “guerrieri conquistatori” di secoli fa), detto ciò per l’appunto oggi  , si può concludere che con ogni probabilità siamo in un regime pre-dittatoriale se non dittatoriale, a livello internazionale.

Ne consegue che per controbilanciare un tale avanzamento di regime il rimanente 83,4% (se alle 6 categorie diamo un valore del 16,6% ovvero un sesto) dovrebbe iniziare a mettere in atto una sorta di resistenza se vuole garantire alle generazioni future un’amministrazione politica libera e democratica.

 

(se volete approfondire mettete i vostri commenti qui sotto, appena mi sarà possibile risponderò a ogni vostra domanda, per cortesia astenersi da provocazioni e polemiche)

 

 

Un test di selezione cos’è? Facciamo chiarezza analizzando il test di selezione per l’ammissione al corso di medicina.

Nel produrre un test che misuri realmente ciò che si vuole misurare è necessario:

  1. definire cosa si vuole misurare, es. attitudine alla professione medica, quindi vanno definite le caratteristiche attitudinali, oppure attitudine allo studio quindi vanno definite tali caratteristiche. Se questo passaggio viene ignorato non abbiamo un test ma un gioco, il gioco consiste nel produrre quiz che sono affini a chi li produce, chi ha ideato il test, e il risultato indica una maggiore o minore affinità allo stile cognitivo di chi ha fatto il test.
  2. definire le caratteristiche del gruppo di persone che sosterranno il test. Per esempio se l’accesso al test è possibile a tutti i diplomati il test dovrà tener conto di tutti gli argomenti accessibili a tutti i diplomati. Altro esempio, se si vuole fare un test che misuri lo sviluppo di abilità cognitive tipiche dei bambini di 5 anni il test dovrà misurare solo quelle abilità, se misura anche le abilità nei bambini di 8 anni il test non è valido, nella stessa misura un test rivolto a tutti i diplomati in cui sono presenti domande specifiche per esempio del programma per i licei scientifici, non è un test valido, ancor meno se sono presenti domande presenti nei corsi di laurea specifici. Se questo passaggio viene ignorato non abbiamo un test, ma una serie di domande che ci dice se i candidati sono un gruppo omogeneo (programmi per licei scientifici) o un gruppo eterogeneo, come è capitato per il test di medicina la cui distribuzione standard ci dice che la percentuale con preparazione universitaria o da liceo scientifico era molto bassa rispetto il campione. Il test è valido se il campione è omogeneo, quindi in questo caso per rendere il test valido bisognava permettere l’accesso al test ai soli studenti universitari di materie scientifiche specifiche.
  3. Definire le caratteristiche geografiche. La distribuzione standard afferma che il test è più affine ai programmi che vengono svolti nel nord Italia che a quelli che vengono svolti nel sud Italia. Attenzione il test non dice mai se sono più bravi quelli del nord o quelli del sud, dice solo l’affinità con un elemento e l’altro, ovvero che chi ha creato il test ha seguito per la maggior parte i programmi svolti al nord, infatti il CINECA si trova al centro nord. Se questo viene ignorato avremo nella distribuzione standard delle mediane differenti a secondo della zona geografica e questo significa che il test non è valido. Questo è quello che è capitato nel test per l’accesso a medicina 2015.

Queste sono le tre cose elementari e necessarie per un test di selezione.

La tipologia della domanda nel test di selezione deve avere alcune necessarie caratteristiche.

  1. nella domanda ci devono essere tutti i contenuti per dare la risposta e non devono essere deducibili da elementi esterni la domanda (numeri facilmente divisibili, alternative di risposte) Se voglio sapere se il candidato è in grado di formulare un ragionamento logico l’aiutino del numero facilmente divisibile o moltiplicabile, o l’aiutino dell’unica risposta possibile, invalida l’item. Questo ricorre molto spesso nei test d’ammissione a medicina, la dove la domanda non contiene tutti gli elementi utili e le risposte possibili lo indicano. Questo tipo di item non è valido, è un gioco di tipo enigmistico che non misura nulla.
  2. La domanda deve avere una risposta unica, e non deve essere deducibile dalle possibilità di risposta. In altre parole non deve indurre il candidato a leggere prima le risposte e poi la domanda, o a leggere ripetutamente l’item perché la sintassi non è corretta, questo tipo di item non è valido.
  3. L’item deve misurare ciò che vuole misurare, se vuole misurare la capacità di logica deduttiva, questa non può essere misurata in base a un tipo di logica paradossale (una logica corretta basata su premesse sbagliate )
  4. La risposta all’item deve essere sempre la stessa nel tempo (attendibilità) e dev’essere data in percentuale maggiore da almeno la metà dei candidati, quindi dev’essere interpretata in modo univoco.

Inoltre:

Il punteggio minimo in un test non può essere inferiore alla metà es 45 (non a 20)

La mediana non deve essere inferiore a 50 percentili (non a 18)

Nel caso il test di selezione preveda l’ingresso di un 10% dei candidati si sposta il punteggio utile per l’ammissione a 85 percentili (es 75/90) quindi si mette un punteggio alto, non si mette un punteggio valido basso, il punteggio valido basso indica che il test non è valido né attendibile.

Date queste premesse, il test di ammissione 2015 in realtà misura:

  • La conformità del candidato ai programmi scolastici del nord Italia.
  • Se il candidato ha conoscenze superiori a quelle che dovrebbe avere un diplomato, conoscenze maggiormente presenti in studenti universitari che stanno frequentando corsi specifici che prevedono conoscenze di chimica e biologia più avanzate di quelle richieste nella laurea in medicina.
  • La propensione del candidato al gioco enigmistico. (non richiesta nella professione medica)
  • La capacità del candidato a seguire stili cognitivi contorti e complessi non propri prevedendone i successivi sviluppi (questa sarebbe una buona qualità per gli psicologi più che per i medici)
  • La motivazione del candidato al superamento del test (che non va confusa con la motivazione a fare il medico) e pertanto la determinazione e la costanza, per cui è disposto a prepararsi in vista della vittoria.

Ecco perchè diversi medici specializzati per esempio il cardiologo Michele Massimo Gulizia il 30 maggio 2015, (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-79425f8b-a4eb-48f7-aa5e-3c8ecea7d450.html) in questa trasmissione vedi minuto 9,13, dice di aver ottenuto circa, il punteggio, di 9 una volta e 14 l’altra.

La cosa più evidente di questo test d’ammissione è che di certo non seleziona candidati che abbiano attitudine alla professione medica.

Critiche al bio-centrismo.

Partendo dall’ipotesi che dopo “la morte” l’identità del soggetto permanga, possiamo immaginare “l’identità energetica” al momento del concepimento, come un’energia che inizia ad avere dei processi trasformativi accelerati, tale accelerazione trasformativa ha la necessità, da parte della “coscienza” di essere collocata rispetto se.

Quindi la coscienza ha bisogno di creare due elementi che gli permettano di collocare tale “auto-accelerazione” (ma la realtà materiale-sensoriale-tangibile… potrebbe essere anche un decelerazione energetica).

Questi elementi sono il tempo e lo spazio, il tempo e lo spazio sono produzioni della coscienza e non “la realtà è produzione della coscienza” (esiste ciò cui la coscienza presta attenzione in un universo infinito di possibiltà) la realtà energetica di altre individuazioni, e di forme di energia non identitarie, esiste a prescindere dall’attenzione che la coscienza ha su di esse.

Non esiste invece il tempo e lo spazio che sono prodotti della coscienza che “interpreta” il movimento  energetico.

Applicare la teoria probabilistica in modo così estremo, come viene fatto nel biocentrismo, non è corretto.

Se nella realtà umana di tutti i giorni l’aspettativa e la probabilità si possono coniugare per dar luogo a determinati fenomeni, nella realtà energetica questo non può accadere, in quanto l’aspettativa e la probabilità sono costruzioni della coscienza e “non” realtà energetiche, le quali potrebbero essere costituite da “caratteristiche identitarie energetiche” (oscillazioni energetiche proprie) coniugate a “caratteristiche comunicative energetiche” (oscillazioni energetiche proprie ma in sincronia o meno con altri elementi energetici) e forme libere di energia (non collocate in forme energetiche identitarie), secondo questa mia “folle” teoria, anche una cellula vegetale, un virus hanno una identità energetica propria.

Perché tanta intolleranza nelle relazioni sul web?

Da quando si sono sviluppati i social net work il fenomeno dell’intolleranza anche verso pareri difformi, il desiderio di zittire sulla base di regolamenti auto proclamati, e certo autoritarismo tipico del comportamento infantile nell’adulto , è sempre più evidente nei contenuti proposti dai fruitori di internet.

L’elemento psicologico carente in questo processo è principalmente l’empatia.

L’empatia permette di comprendere meglio il punto di vista dell’interlocutore, mettendosi un po’ nei suoi panni, al fine di poter interagire e rispondere in modo più pertinente ai contenuti proposti dall’altra persona.

I canali con cui s’interpreta in modo empatico sono di tipo non verbale, tono e ritmo della voce, postura, espressione mimica ecc.., alcuni sono più abili ed esperti ad interpretare il non verbale ma in generale lo facciamo tutti in modo automatico.

Internet non permette la comunicazione non verbale, infatti le nuove generazioni hanno inventato un linguaggio parallelo per ovviare a questo problema: le emoticon.

Ma le emoticon non possono essere spontanee ed automatiche come invece avviene per il non verbale nel quotidiano, e pertanto spesso risultano dissonanti rispetto il verbale.

Pertanto che succede? Durante la conversazione solo verbale sul web (perchè non si tratta di esposizione letteraria) , viene avvertito a livello non consapevole, che il contenuto è di difficile interpretazione in quanto il non verbale non è presente, questo genera frustrazione e quindi pone l’emozione più sull’insieme delle emozioni attinenti la rabbia, questa emozione che deriva dalla frustrazione condiziona inconsapevolmente i successivi contenuti proposti dal soggetti, seguendo un catena di successioni verbali che via via perdono il senso del contenuto per dar luogo all’istanza emotiva che “non può essere zittita” attraverso l’elusione in quanto si tratta di una istanza emotiva e non cognitiva.

In realtà la cosa è molto più complessa, ma ho voluto divulgare questa schematizzazione nella speranza che possa essere utile a qualche lettore.

Psicologi fra libertà e rigore scientifico una prima sintesi storica.

Fra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, si delinea in Europa una disciplina scientifica: la psicologia, un’alternativa scientifica non medica, all’approccio religioso che si occupa della realtà immateriale della coscienza.

In Italia con l’avvento del fascismo, le cattedre di psicologia nelle varie facoltà universitarie vennero eliminate a favore di un orientamento pedagogista-comportamentista. La psicologia in Italia, continuò a esistere in modo “clandestino”; per poi riemerge frammentata nei vari corsi di studi universitari, solo nel 1971 vengono istituiti i primi due corsi di Laurea in psicologia a Padova e a Roma. Nelle altre città italiane l’insufficiente offerta formativa in altri atenei continuerà ad essere rimpiazzata da diverse materie di studio di pertinenza psicologica all’interno di altri corsi di laurea (es: filosofia). Negli anni ’80 i vari psicologi sentirono la necessità di professionalizzare il lavoro dello psicologo proprio per evitare le varie “psicologie del senso comune” più o meno fantasiose dal punto di vista psicologico, inteso in modo più rigoroso.

Nel 1989 venne ottenuta l’istituzione dell’Ordine degli psicologi, e gli psicologi si diedero un ordinamento della professione rigoroso e scientifico, ciononostante in parallelo a tutt’oggi continua ad esistere una realtà meno seria “lo psicologo fai da te” della psicologia del senso comune, che snobba la pretesa degli psicologi di dare alla psicologia una struttura culturale e professionale scientificamente autorevole, di rendere l’universo “psi” una questione di salute e non di “salvezza dell’anima” basata sulla fede, di considerare la realtà “psi” come una realtà immateriale, il cui approccio debba però essere scientifico, di considerare l’oggetto di studio psi secondo un ottica di massimo rispetto (ogni soggetto è differente dall’altro) non tanto per motivi moralistici ma per motivi scientifici, concetto basato sul principio di indeterminazione di Heisenberg. Questo significa che ogni strategia relazionale di tipo manipolativo viene messa al bando dagli psicologi come “modalità non psicologica” ma pertinente alle relazioni umane, talvolta con rischi “patologizzanti”.

Il codice deontologico degli psicologi afferma in vari punti l’obbligo del rispetto delle idee, orientamenti sessuali, segretezza delle informazioni ricevute, e questo in molti articoli.

Tale tutela della differenziazione individuale precisata dal codice deontologico degli psicologi, ha non solo motivi di correttezza professionale , ma poggia soprattutto sull’evidenza che la salute psichica di un soggetto si fonda principalmente sul rispetto e la scoperta della sua vera e autentica natura identitaria.

Questo si evince anche dalla natura psicopatologica di molti disturbi psichici: scissione dell’io, dissociazione, derealizzazione, reattività emotiva eccessiva, tutti disturbi alla cui origine c’è il mancato rispetto da parte del contesto, della natura identitaria della persona, sia che questo avvenga attraverso modalità manipolative sia a causa di traumi psico-emotivi di natura improvvisa o continuativa.

Questo non significa che il rispetto dell’identità di una persona debba considerarsi una sorta di “demoralizzazione” , la coscienza etica , è ritenuta in psicologia una parte della realtà psichica.

Biocentrismo, di Robert Lanza Bob Berman , la coscienza materiale? Critica al biocentrismo e alle seduzioni linguistiche della scienza.

biocentrbook

Nel 2009, viene pubblicato il libro di Lanza/Bernam, in cui sono elencati 6 principi su cui si basa la loro teoria sul biocentrismo cito dal testo:

a)PRIMO PRINCIPIO DEL BIOCENTRISMO Ciò che noi percepiamo come realtà è un processo che coinvolge la nostra coscienza.

 b)SECONDO PRINCIPIO DEL BIOCENTRISMO Le nostre percezioni interne ed esterne sono intrecciate. Sono due facce della stessa medaglia e non possono essere separate.

c)TERZO PRINCIPIO DEL BIOCENTRISMO Il comportamento delle particelle subatomiche – e per estensione di tutte le particelle e di tutti i corpi – è indissolubilmente connesso alla presenza di un osservatore. Senza la presenza di un osservatore cosciente, esiste solamente uno stato indeterminato di onde di probabilità.

Quando lanciate insieme due sassolini in uno stagno, l’onda prodotta da ciascun sassolino incontra quella dell’altro e produce una sequenza di innalzamenti e abbassamenti del livello dell’acqua rispetto alla normale situazione di quiete. Alcune onde si rinforzano, una con l’altra, per esempio quando si incontrano due creste, altre invece si cancellano reciprocamente, per esempio quando una cresta si incontra con una valle.

d)QUARTO PRINCIPIO DEL BIOCENTRISMO Senza la coscienza, la cosiddetta «materia» rimane in uno stato indeterminato di probabilità. Ogni universo precedente a un atto cosciente è esistito solo in uno stato probabilistico.

 il fisico John Wheeler da poco scomparso (nacque nel 1911 ed è morto nel 2008), che coniò il termine «buco nero», postulò quello che ora viene chiamato «principio antropico partecipatorio», o PAP (dall’inglese partecipatory anthropic principle), secondo cui gli osservatori sono necessari per l’esistenza dell’universo.

 e)QUINTO PRINCIPIO DEL BIOCENTRISMO La reale struttura dell’universo è spiegabile solamente attraverso il biocentrismo. L’universo è finemente accordato per la vita, e tutto torna perché è la vita che crea l’universo, non il contrario. L’universo è semplicemente l’estensione della logica spazio-temporale del sé.

f)SESTO PRINCIPIO DEL BIOCENTRISMO Il tempo non possiede una vera e propria esistenza al di fuori della percezione sensoriale animale. È il processo attraverso cui percepiamo i cambiamenti dell’universo

A mio parere il problema principale della teoria è che: senza una definizione chiara di coscienza, si afferma che la coscienza è una realtà materiale.

Un altro problema è che nel libro si afferma che la coscienza debba essere compresa da biologi, fisici, astronomi, con esclusione degli psicologi e degli psicoterapeuti dall’ipotetica equipe di studiosi “dell’ottica bio centrica della coscienza”.

L’errore/orrore principale è quello di ignorare l’esistenza di realtà immateriali, che noi psicoterapeuti sappiamo costituire quasi tutta la realtà della coscienza, un altro errore è quello di ignorare la realtà dell’inconscio, ovvero di quella parte di realtà immateriale che non sempre appare alla coscienza .

Il fatto che tutto sia riducibile a “energia” non spiega il contenuto dei pensieri, l’intensità delle emozioni, la relazionabilità degli affetti, e vari fenomeni della coscienza (e dell’inconscio) ma semplicemente dice che uno strumento rileva che delle attività elettriche (psichiche?) siano presenti o non presenti in quella parte del cervello, e lo strumento è interpretato da un osservatore molto limitato (l’essere umano) che ha una modalità osservativa egocentrica anche se condivisa da altre persone con lo stesso sistema percettivo sensoriale.

Per esempio lo sperimentatore vuole capire la realtà del movimento. Si trova sul pianeta terra che gira attorno alla propria asse a circa 1500 km-h e ha una velocità orbitale di 110.000 km-h circa. Questo movimento lo sperimentatore non lo percepisce, egli si sente fermo su un punto della terra e percepisce solo il movimento da un punto all’altro, che percezione del “fenomeno movimento” avrà lo sperimentatore? Una percezione reale? No solo una percezione ego-riferita, limitata alla sua modalità percettiva.

Per esempio in un altro punto del libro si parla di “libero arbitrio” concetto dottrinale-religioso, riferito alla questione etica, ovvero riferito a ciò che viene definito “buono o non buono” (scusate la semplificazione), ma l’autore fa riferimento alla volontà, ma la volontà, che è una delle tante realtà immateriali della coscienza non ha una caratteristica procedurale, la volontà o c’è o non c’è, la proceduralità deriva dall’attività cognitiva per esempio della pianificazione, la pianificazione non è la stessa cosa della volontà.

Molte sono le confusioni che fanno gli autori quando s’addentrano nel tema della coscienza, avrebbero potuto scrivere questo interessantissimo libro assieme a uno psicologo o assieme uno psicoterapeuta con buona esperienza sul campo, e invece no così scrivono:

“Attualmente, le discipline della biologia, della fisica, della cosmologia e di tutte le loro molteplici ramificazioni di solito vengono studiate da chi sa poco o niente delle altre. C’è bisogno, invece, di un approccio multidisciplinare per raggiungere risultati proficui che includano il biocentrismo.”

Il problema, dicono, è che le varie discipline “materialistiche” sono troppo specialistiche, e… studiare una realtà immateriale come la coscienza solo dal punto di vista materialistico? Questo non è un problema per il buon esito della teoria?

Mi aspetto che, questa sia la premessa, dopo il disastro della chimica (psicofarmaci) per la cura dell’anima, per una nuova proposta disastrosa per la cura dell’anima, quella fisica, che magari cura con interferenze elettromagnetiche così d’assicurarsi un altro buon business per altri 100 anni.